MARE ADRIATICO

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SAN BENEDETTO DEL TRONTO

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ITALY

martedì 14 ottobre 2014

COS'E' L'EBOLA


http://www.focus.it/scienza/salute/otto-cose-da-sapere-su-ebola
 http://www.focus.it/scienza/salute/otto-cose-da-sapere-su-ebola#ebola-i-devastanti-effetti-sul-corpo-umano#img51856

Otto cose da sapere su Ebola

Che cos'è Ebola? Da dove arriva il virus? C'è una cura o un modo per fermare l'epidemia di febbre emorragica? Domande e risposte su un virus terribile. (Focus)

La peggiore epidemia del virus Ebola da quando è stato scoperto il virus, nel 1976, è iniziata attorno al mese di aprile 2014. A ottobre la situazione è grave e sempre più preoccupante: potete seguirne gli sviluppi (diffusione e dati dell'Oms) con gli aggiornamenti pubblicati nella pagina Speciale Virus Ebola.
La diffusione dell'epidemia non preoccupa le autorità sanitarie mondiali, che ancora oggi non riescono a capire se e quando si fermerà l’epidemia. Preoccupa anche molti che temono che prima o poi arrivi in Italia: il rischio è del 5-10%.
Per fare chiarezza riassumiamo qui sotto ciò che è importante sapere sul virus e sulla sua pericolosità.

1. COS'È IL VIRUS EBOLA E QUALI SONO I SINTOMI?
È un virus è estremamente aggressivo, appartenente alla famiglia deiFiloviridae, come il virus Marburg, che causa problemi simili. Ebola provoca una serie complessa e rapidissima di sintomi, dalle febbri emorragiche al dolore ai muscoli e agli arti e numerosi problemi al sistema nervoso centrale.
 Nello specifico i sintomi di Ebola sono:  febbre, forte mal di testa, dolore muscolare, diarrea, vomito, dolori addominali ed emorragie inspiegabili.
Il periodo di incubazione (dal momento del contagio all'insorgenza dei primi sintomi) va da 2 a 21 giorni. La morte è fulminante e sopraggiunge nello stesso periodo (2-21 giorni).
Il materiale genetico è RNA, che va incontro a mutazioni non particolarmente rapide e contiene solo sette geni. Sono stati isolati finora cinque ceppi diversi del virus, di cui quattro sono letali per l'uomo. La prima scoperta del virus risale al 1976, in Congo e Sud Sudan. Di solito il virus è molto infettivo e virulento, e quindi se colpisce una o due persone di un villaggio si diffonde con estrema rapidità e "consuma" tutte le persone che colpisce.

2. DA DOVE PROVIENE EBOLA?
Il cosiddetto serbatoio naturale del virus sono molto probabilmente le volpi volanti, grossi chirotteri che mangiano frutta e abitano le foreste tropicali; si pensa che il virus "viva" all'interno di questi animali da moltissimo tempo perché non causa in essi nessuna sintomo.
Per arrivare all'uomo il virus potrebbe essere passato dalle volpi volanti alle scimmie, o altri animali della foresta, e infine all'uomo attraverso il fenomeno del bush-meat, cioè la carne ricavata da animali selvatici come antilopi o scimpanzé. Il fenomeno si è aggravato da quando compagnie occidentali e cinesi sono penetrate nella giungla per il disboscamento e la ricerca di fonti di minerali. Mangiando la carne di questi animali gli uomini possono essere rapidamente contagiati.

3. COME SI TRASMETTE EBOLA?
La trasmissione del virus è molto rapida, attraverso i fluidi corporei, come muco o sangue, ma anche attraverso le lacrime o la saliva, il vomito o le feci e il contatto con aghi o coltelli usati dall'ammalato.
Anche se di solito questi virus non si trasmettono attraverso l'aria, è stata dimostrata nelle scimmie la trasmissione in goccioline contenenti il virus. È probabile che la trasmissione possa avvenire anche attraverso i rapporti sessuali. Nei villaggi o nelle zone più remote i contatti frequenti tra gli ammalati e i parenti aiuta la trasmissione del virus.

Esempi di come si può contrarre il virus Ebola:
  • Baciare una persona malata;
  • Toccare qualcosa su cui è caduto del fluido corporeo di una persona malata, per esempio un cellulare, la maniglia di una porta o la tastiera di un bancomat.
    Come può accadere una cosa simile? Il virus Ebola sopravvive alcune ore all’esterno di un organismo; se si tocca la superficie infetta e poco dopo ci si toccano gli occhi o si mettono le dita in bocca potrebbe avvenire il contagio. 
  • Mangiare il cibo di un malato. Per la stessa ragione di sui sopra, può essere entrato in contatto con la saliva infetta.
  • Essere punti dall'ago di una siringa usata per curare un paziente con Ebola.
  • Pulire il cadavere di una persona morta a causa di Ebola. È una delleprincipali vie di diffusione del virus nei Paesi africani, dove si seguono particolari rituali durante i funerali.
  • Fare sesso con un malato o con una persona guarita da Ebola. Sembra infatti che il virus rimanga attivo nello sperma anche a distanza di 3 mesi dalla guarigione.

Esempi di come NON si può contrarre il virus Ebola:
  • Entrare in contatto con persone senza sintomi (ma che poi sviluppano la febbre emorragica). Ebola si può prendere solo da persone che hanno già i sintomi della malattia: prima il virus non è presente nei fluidi perché non ha ancora colonizzato con alte concentrazioni l’organismo. 
  • Viaggiare in aereo con una persona che poi ha sviluppato i sintomi.
  • Attraverso la puntura di una zanzara. Ebola si diffonde solo tra mammiferi e non non ci sono prove dirette che venga trasportato dagli insetti come avviene per esempio per la malaria con le zanzare. Al momento solo uomini, scimmie, primati e pipistrelli possono venire contagiati (e trasmettere) il virus.

4. È IL PIÙ PERICOLOSO VIRUS CONOSCIUTO?
Ebola ha una percentuale di fatalità del 68% tra le persone colpite (vedi tabella a fondo pagina). Pur essendo mortale non è riuscito a diffondersi al di fuori dei villaggi in cui è scoppiata l'epidemia, fermato solo dalla fatto che colpiva regioni e agglomerati remoti e isolati. Qui spesso uccideva la maggior parte della popolazione e l'isolamento e la mancanza di strade rendeva facile iniziare una quarantena. Per questo l'arrivo in una città popolosa e con rapidi collegamenti con l'esterno potrebbe essere molto preoccupante. Le condizioni di una grande città sono ideali per la trasmissione di un virus così aggressivo.

5. PERCHÉ COLPISCE SOLO ADESSO?
La scoperta del virus è relativamente recente probabilmente perché è aumentata anche la penetrazione nelle foreste da parte delle grandi compagnie del legname o minerarie, che hanno spinto gli abitanti dei singoli villaggi a nutrirsi del bush-meat .

6. PERCHÉ LA PREOCCUPAZIONE PER LA DIFFUSIONE IN UNA CITTÀ?
Poiché l'infezione è estremamente veloce e la virulenza molto alta, se un virus di questo tipo "conquista" una città potrebbe colpire la popolazione molto rapidamente, prima che le autorità siano in grado di fermarlo.

7. C'È UNA CURA O UN VACCINO?
Non esistono cure o vaccini, anche se ci sono stati tentativi con la trasfusione di individui colpiti ma sopravvissuti. Sono alla studio metodi estremamente avanzati, come la cosiddetta tecnologia antisenso o il farmaco sperimentale Zmapp, ma non si hanno ancora risultati clinici.
A oggi - quando le vittime vengono immediatamente idratate, nutrite e curate con appositi farmaci antipiretici - c'è comunque una probabilità di sopravvivenza, come è successo a due medici a cui è stato somministrato in via eccezionale il farmaco Zmapp ma soprattutto curati negli Stati Uniti con farmaci antipiretici e reidratati.

8A. È VERO CHE EBOLA POTREBBE MUTARE E DIFFONDERSI ANCHE PER VIA AEREA?
Come spieghiamo in modo più dettagliato in questo approfondimento, l'ipotesi del cambiamento nelle modalità di trasmissione del virus Ebola non ha per ora nessun fondamento, e trova poche evidenze anche nella storia delle epidemie virali. È vero che Ebola - come tutti i virus - è soggetto a modificazioni genetiche, ma queste non sono mai tali da determinare un cambiamento delle caratteristiche di trasmissione. 
Per diventare trasmissibile per via aerea, Ebola dovrebbe iniziare a replicarsi nelle cellule delle vie respiratorie dell'ospite. Ma il virus per sua natura non è interessato a questa parte del corpo: colpisce i vasi sanguigni e il fegato.

8B. È VERO CHE DOPO MOLTO TEMPO I PATOGENI PERDONO LA LORO VIRULENZA?
È una specie di leggenda urbana, perché si pensava che un virus o un batterio si evolvesse in modo da essere sempre meno virulento più a lungo dura il suo rapporto con l'ospite. Ma il danno che un virus o un batterio infliggono all'ospite dipendono da molti fattori, in particolare la facilità di trasmissione. La cosiddetta "ipotesi del compromesso" suggerisce che il patogeno debba stare in equilibrio tra il tempo in cui è in grado di stare in un ospite e la velocità di trasmissione. In breve, il danno che si crea all'ospite e la trasmissione debbono esser bilanciate per massimizzare la diffusione. Un patogeno che si trasmette attraverso l'aria (sia autonomamente sia attraverso vettori come gli insetti) è molto facile che non divenga affatto più "buono" col tempo, ma rimanga estremamente dannoso; questo perché può spostarsi da un ospite all'altro anche se il colpito è fermo a letto, malato. Le specie che si trasmettono per fluidi corporei o in generale attraverso il contatto diretto hanno bisogno che l'ospite si muova e incontri altri "contagiabili" e quindi non devono creare troppi danni agli ospiti stessi. È stato dimostrato che aumentare la difficoltà di trasmissione diminuisce anche la virulenza di un virus.

GRAZIE A FOCUS.IT

I 15 luoghi più inquinati al mondo

https://it.notizie.yahoo.com/i-15-lughi-piu-tossici-del-pianeta-video-143543186.html

Ecco i primi 15 secondo Mother Nature Network. 1. Citarum River, Indonesia Si tratta del fiume più inquinato del mondo: milioni di persone vivono sulle sue sponde. 2. Chernobyl, Ucraina Dopo il disastro nucleare del 1986, la zona ora è disabitata ma ancora contaminata. 3. Linfen, Cina Si tratta di una delle città con uno dei più alti tassi di inquinamento atmosferico del mondo. 4. The North Pacific Gyre, Oceano Pacifico Il Gyre è un'isola composta di rifiuti, grande due volte il Texas. 5. Rondonia, Brasile La zona è stata devastata dal disboscamento. 6. Yamuna River, India In queste torbide acque di scolo, in cui viene gettato il 58% dei rifiuti della città, milioni di indiani si lavano e usano questa come acqua da bere. 7. La Oroya, Peru Si tratta della città conosciuta come la capitale dell'inquinamento atmosferico a causa di un grande complesso minerario per l'estrazione e la lavorazione dei minerali. 8. Lago Karachay Questo lago Ë il posto più inquinato della terra, a causa delle scorie depositate dall'Unione Sovietica. 9. Haiti Una regione vittima del disboscamento: la vegetazione è passata dal ricoprire il 60% del territorio, al 2%. 10. Kabwe, Zambia In questa località la terra è talmente contaminata che nulla può essere coltivata. 11. Appalachia, West Virginia In questa zona sono state rimosse le vette delle montagne per trovare carbone. La conseguenza? Torrenti e fiumi inquinati in tutta la zona. 12. Dzerzhinsk, Russia Il Guinness Book of World Records ha decretato Dzerzhinsk la città più chimicamente inquinata sulla Terra, a causa delle 300.000 tonnellate di riufiuti scaricate qui tra il 1930 e il 1998. 13. Bacino del Riachuelo, Argentina Con le 3.500 fabbriche attive sulle sue sponde, questo fiume Ë un ricettacolo di sostanze inquinanti. 14. Vapi, India A causa dell'ampio scarico di sostanze chimiche, in questa zona ci sono livelli di mercurio per 96 volte superiori ai livelli di sicurezza. 15. Lo spazio Sì, anche lo spazio è inquinato a causa di dadi, bulloni, metallo e carbonio, attualmente in orbita intorno alla Terra.

domenica 1 giugno 2014

LA DEFORESTAZIONE DELL'AMAZZONIA, GRAZIE GREENPEACE PER IL VOSTRO LAVORO!



L'ammiraglia di Greenpeace, la Rainbow Warrior III, navigherà per due mesi sul Rio delle Amazzoni per mostrare al mondo la bellezza dell'Amazzonia. Oltre alle meraviglie del polmone del pianeta, denunceremo i responsabili della sua distruzione e dimostreremo che ci sono le soluzioni per raggiungere il nostro obiettivo comune: Deforestazione Zero in Amazzonia.
Accompagnaci in questo magico viaggio e aiuta il popolo brasiliano a salvare l’Amazzonia.
L'Amazzonia è vasta, maestosa e ospita un quarto delle specie conosciute. Il giaguaro, il delfino rosa, il bradipo, il fiore più grande al mondo, la scimmia piccola come uno spazzolino da denti e un ragno grande come una palla da baseball sono solo alcune delle specie che conosciamo. Ma ce ne sono ancora molte, tutte da scoprire.
L'Amazzonia è la casa di oltre 20 milioni di persone e centinaia di indigeni che non hanno mai avuto contatti con il mondo esterno.
L'Amazzonia è un enorme deposito di carbonio che ci aiuta a stabilizzare il clima e mitigare i cambiamenti climatici: trattiene tra 80 e 120 miliardi di tonnellate di CO2.
http://www.greenpeace.org/italy/it/

domenica 4 maggio 2014

PROCESSO DI INVECCHIAMENTO E PERCHE' INVECCHIAMO

Tutta colpa dei telomeri : invecchiare e’ un processo inevitabile, malgrado tutte le scoperte scientifiche e i processi della medicina: colpa dei telomeri, ovvero le estremita’ dei cromosomi che, accorciandosi a ogni ciclo, si deteriorano. Invecchiare e’ un processo inevitabile, malgrado tutte le scoperte scientifiche e i processi della medicina: colpa dei telomeri, ovvero le estremita’ dei cromosomi che, accorciandosi a ogni ciclo di proliferazione delle cellule, segnano l’inesorabile passare del tempo e determinano l’invecchiamento cellulare. La scoperta emerge da uno studio italiano, pubblicato oggi dalla rivista Nature Cell Biology, condotto da Marzia Fumagalli e Francesca Rossiello sotto la guida di Fabrizio d’Adda di Fagagna – responsabile all’IFOM (Istituto FIRC di Oncologia Molecolare) del programma di ricerca intitolato “Telomeri e senescenza” – che disegna la mappa delle regioni piu’ indifese del genoma: le estremita’ dei cromosomi, dove i danni al DNA sono irreparabili. La ricerca, condotta in collaborazione con studiosi dell’Universita’ di Milano-Bicocca e della statunitense New Jersey Medical School, dimostra anche che la vulnerabilita’ di queste porzioni del patrimonio genetico ha implicazioni in uno dei processi fisiologici fondamentali e inesorabili: l’invecchiamento.Le cellule, come i tessuti e gli organismi, invecchiano. Invecchiare per cellule che si dividono in continuazione significa prima di tutto smettere di proliferare. Le cellule proliferanti si accorgono dello scandire del tempo – e a un certo punto smettono di riprodursi – proprio a partire dai telomeri, poiche’ a ogni ciclo vitale ne perdono un pezzo. Il fenomeno, del tutto normale, dipende dal meccanismo stesso con cui esse copiano il proprio materiale genetico prima di duplicarsi. Ci sono cellule, pero’, che non proliferano e non perdono le proprie sequenze telomeriche. Sono tante nell’organismo: i neuroni, per esempio, che specializzandosi nello svolgimento delle proprie funzioni, hanno smesso di dividersi. Come fanno queste a capire che invecchiano? La risposta potrebbe emergere proprio dalle implicazioni della scoperta pubblicata su Nature Cell Biology. Con il passare del tempo, infatti, accorciarsi non e’ l’unica cosa che puo’ accadere ai telomeri “Dato che le lesioni al DNA – afferma lo scienziato – vengono riparate ovunque nel genoma tranne che nei telomeri, ci siamo chiesti se questo potesse avere un nesso con l’invecchiamento e abbiamo riscontrato con l’eta’ un accumulo progressivo di danni in queste porzioni cromosomiche in cellule e tessuti, indipendentemente dal loro accorciamento”. La cellula, quindi, leggerebbe il passare del tempo non solo nella lunghezza dei telomeri, ma anche nella loro compromessa integrita’, parametro fondamentale quest’ultimo in particolare per cellule che hanno smesso di dividersi e che, quindi, non accorciano i propri telomeri, ma comunque invecchiano. DNA sotto attacco “Che il DNA si rompa e’ un evento tutt’altro che raro nella vita della cellula” spiega d’Adda di Fagagna. “Al contrario – continua – si potrebbe dire che il materiale genetico e’ sotto attacco praticamente di continuo. Senza considerare eventi straordinari come l’esposizione a radiazioni o a diversi agenti chimici e fisici in grado di danneggiarlo, le minacce vengono dalle stesse attivita’ vitali della cellula”.

TRATTO DA http://www.giornalettismo.com/archives/214627/ecco-perche-invecchiamo/

giovedì 24 aprile 2014

NIKI LAUDA...UNA LEGGENDA RIVISSUTA NEL FILM "RUSH"





Lauda: io e Hunt ai tempi di "Rush"

Intervista esclusiva al tre volte campione del mondo di F1. Che rivive il passato raccontato nel film.

Niki Lauda ha un atteggiamento abbastanza supponente nei confronti della vita. Forse perché sa di essere stato molto fortunato a sopravvivere al terribile incidente nel circuito del Nürburgring nel 1976. Quel fatidico giorno la sua Ferrari sbatté contro la roccia a lato del circuito, roteò su se stessa e venne investita da un’altra vettura, trasformandosi in una pira metallica. Lauda perse i sensi, le fiamme avvolsero l’abitacolo dove rimase svenuto per quella che sembrò un’eternità, finché un altro pilota, Arturo Merzario, non lo estrasse dal rottame. "Altri 10 secondi in quell’auto in fiamme e ora non sarei qui", ricorda Lauda, sorseggiando un café crème affondato in un morbido divano della sua suite d’albergo di Vienna.
Dal 19 settembre sarà nelle sale italiane "Rush", film sulla sua rivalità con il pilota inglese James Hunt, in lizza per il campionato di Formula 1 del 1976. Diretta da Ron Howard, la pellicola vede la partecipazione dell’attore tedesco Daniel Brühl ("Bastardi senza gloria", "The Edukators") nei panni di Lauda e del fusto australiano Chris Hemsworth nelle vesti di Hunt. «Lauda e Hunt erano star del circuito: due assoluti professionisti nell’olimpo dell’automobilismo» afferma Howard. «Erano i tempi in cui il sesso era sicuro, correre in auto era pericoloso e non ce n’era per nessuno».
I due piloti erano diventati buoni amici nelle stagioni precedenti, pur essendo agli antipodi quanto a carattere e stile di guida. Lauda era pragmatico, disciplinato e rigoroso, mentre Hunt era un forte bevitore, sessualmente insaziabile e talvolta un corridore spericolato. A quei tempi la morte era uno spettro costante, nonché un rischio professionale per i piloti. La Formula 1 era lo sport più pericoloso del mondo e ogni anno alcuni dei piloti più dotati perdevano la vita al volante di auto da corsa notoriamente fragili.
A metà della stagione 1976 Lauda andò come detto vicinissimo alla morte al Nürburgring. Le fiamme che avvolsero la sua Ferrari gli bruciarono l’orecchio destro e la fronte, sfigurandogli il volto. Rimase in coma per diversi giorni in ospedale con i polmoni in gravi condizioni a causa dei fumi tossici che aveva respirato mentre giaceva privo di sensi nel rottame in fiamme. Quando arrivò in ospedale, i medici non erano ottimisti circa le sue possibilità di sopravvivenza. "Un prete mi diede l’estrema unzione", aggiunge Lauda. Invece ce l’ha fatta, tornando in pista solo sei settimane dopo, nonostante le sue condizioni precarie.
Vincitore del campionato di Formula 1 dell’anno precedente, Lauda era ancora in cima alla classifica del 1976 grazie alle gare che aveva vinto nella stagione ed era determinato a vincere anche questa volta. "Mi chiedevano se volevo continuare e io rispondevo sempre sì. Volevo vedere se ero in grado di tornare in auge. Ero consapevole dei rischi, erano anni che vedevo altri piloti morire davanti ai miei occhi". Questa è l’essenza dell’atteggiamento di Lauda. Benché avesse visto la morte in faccia e fosse rimasto terribilmente sfigurato, il pilota austriaco tornò in pista, nel Gran Premio di Monza, con la testa ancora fasciata, solo sei settimane dopo l’incidente. Le ustioni non erano ancora completamente guarite e diversi piloti distoglievano lo sguardo inorriditi davanti al suo viso devastato. Lauda aveva anche dovuto subire un intervento di chirurgia plastica per riuscire a chiudere le palpebre correttamente. Ma era deciso a difendere il titolo ed era ancora in cima alla classifica alla vigilia della gara conclusiva del Gran Premio di Tokyo.
La gara finale venne disputata sotto una tempesta inclemente e molti sostenevano che avrebbe dovuto essere annullata. Ma Bernie Ecclestone e gli organizzatori della corsa decisero che si tenesse comunque, considerando l’altissima audience televisiva in fremente attesa del duello tra Lauda e Hunt, alla guida di una McLaren. Hunt era solo a tre punti da Lauda e tutto si giocava in quell’ultima corsa. Lauda uscì al secondo giro, mentre Hunt tagliò il traguardo per terzo, aggiudicandosi il suo primo e unico campionato mondiale di Formula 1.
In questa intervista, Niki Lauda racconta come il suo incontro ravvicinato con la morte non gli abbia comunque impedito di continuare a correre e andare avanti nella vita.
Niki, che sensazioni ha provato nel tornare in pista dopo aver quasi perso la vita solo sei settimane prima? 
"Quando, dopo l’incidente, sono nuovamente uscito in pubblico, la gente mi guardava scioccata e questo mi turbava. Pensavo che fossero scortesi a non cercare di nascondere le loro emozioni negative di fronte al mio aspetto. Ma quando ho visto il film, mi sono messo nei panni degli altri e ho capito il punto di vista della gente che mi vedeva e questo mi ha aiutato a capire perché gli altri restavano sconvolti".
E lei come ha reagito davanti al suo volto sfigurato? 
"In quel momento ho accettato il mio aspetto. Non ci pensavo, semplicemente andavo avanti… Ma mia moglie è svenuta quando mi ha visto per la prima volta, così mi sono reso conto che non facevo senz’altro una bella impressione. Mi sono chiesto: ma sono davvero così terribile? Ora, invecchiando, le cicatrici si confondono con le rughe e... beh (alza le spalle) ci si fa l’abitudine".
Non ha mai pensato alla chirurgia plastica? 
"No. Ho dovuto fare solo un intervento per migliorare la mia capacità visiva. La chirurgia estetica è insulsa e costosa, l’unico risultato è che mi darebbe una faccia diversa. Mi hanno operato agli occhi in modo da migliorarne la funzionalità e, finché il resto funziona, non me ne importa niente. Bisogna accettare le cose come sono. Non riesci a renderti conto di come ti sentiresti finché non capita a te. Quando ci sei dentro, vedi le cose in modo diverso, ti chiedi cosa fare, come gestire la situazione, e quando hai capito come affrontare la faccenda, non te ne importa più niente".
Ha ricevuto proposte da chirurghi plastici dopo l’incidente?
"Costantemente. Ma non mi piace l’aspetto che dà la chirurgia plastica. Che cosa pensa di quelle stupide che continuano a farsi rifare? Io penso che non vada bene. Se ti fai rifare qualcosa, la gente se ne accorge immediatamente. Chi non si è mai trovato nelle tue condizioni non può immaginare cosa farebbe al tuo posto. Semplicemente si chiede: perché è così? Perché non fa qualcosa? Forse, se fossero nei miei panni, farebbero la stessa cosa. Pensi a quelle donne che si sono fatte rifare le labbra e hanno quest’espressione schifosa (atteggia le labbra a canotto)".
Si chiede perché le donne ricorrano alla chirurgia plastica? 
"Io non sopporto la chirurgia plastica. Devi avere abbastanza personalità da essere in grado di superare tutte queste idiozie sulla bellezza e trovare la forza di amarti per come sei. Quando le donne ricorrono alla chirurgia plastica, vuol dire che non sono in grado di accettarsi. Mi è capitato più volte che la gente si interrogasse sul mio aspetto. Almeno posso dire di aver avuto un incidente. Per me è inconcepibile che della gente che non ha subìto alcun incidente si sottoponga a interventi".
Che cosa ne pensa del modo in cui Brühl ha interpretato il suo personaggio nel film "Rush"? 
"Sono rimasto molto colpito. È stato davvero bravo, e parla anche l’inglese meglio di me... È venuto a Vienna per conoscermi e studiarmi per un po’ di tempo. L’ho anche portato al Gran Premio del Brasile, un paio di anni fa. Mi piace. Gli ho chiesto dove ha trovato più difficoltà. Mi ha risposto che, siccome la gente mi ha visto in tv, ha sentito delle interviste o scambi di battute, sa come parlo, quindi non è stata un’impresa facile".
Con quale spirito affrontò la gara finale a Tokyo nel 1976? 
"Quando abbiamo corso in Giappone, io ero ancora primo. Quella settimana ha piovuto all’inverosimile e, a mio avviso, quando abbiamo iniziato la corsa era troppo pericoloso guidare. Così mi sono ritirato dopo il primo giro. James è arrivato terzo e ha vinto il titolo per un punto: un buon risultato per lui. Io ho avuto la fortuna di sopravvivere a quel terribile incidente e ho scelto di non mettere nuovamente a repentaglio la mia vita".
Come ricorda il periodo in cui correva? 
"Era sempre una battaglia per rimanere vivo. Dovevi arrivare al limite senza fare errori. Ho avuto tante esperienze positive e negative. Ho imparato tanto dalla vita. Sono convinto di essere molto più carismatico di prima(sorride). Non so perché non provo alcuna paura. Sono sempre stato molto sicuro di me. Sono cresciuto in una famiglia perbene qui in Austria. Mi hanno insegnato come usare coltello e forchetta. Fin da bambino ho sviluppato una personalità salda e positiva. Poi sono passato attraverso tantissime vicende terribili, come il mio incidente, che mi hanno insegnato a essere ancora più forte. Sono sempre stato capace di imparare dalle mie esperienze e andare avanti".
Che rapporto aveva con James Hunt? Il film vi ritrae come rivali accaniti che diventano amici grazie al rispetto l’uno per l’altro…
"Eravamo effettivamente amici. Lo conoscevo già prima di incontrarlo in Formula 1. Le nostre vite si sono sempre incrociate. Era molto competitivo e anche molto veloce. Per tanti aspetti eravamo uguali. Quando lo guardavo negli occhi, capivo esattamente quello che provava. Ho sempre nutrito un grande rispetto per lui in gara. Potevi guidare a due centimetri dalle ruote della sua auto ed essere certo che non avrebbe mai fatto una cazzata. Era un grande pilota".
Lei è così serio e pragmatico come viene dipinto nel film? E Hunt era davvero il suo opposto, sfrenato e donnaiolo? 
"Mi piaceva il suo stile di vita. Tutti e due abbiamo avuto molte donne. Io non ero così intemperante come James, però eravamo simili e ho condiviso una parte delle sue esperienze. Non ero così rigoroso nel mio atteggiamento quanto appaio nel film, anche se ero senz’altro più disciplinato di lui. Non ho mai bevuto prima di una corsa, ma certamente dopo non potevo esimermi".
Era a causa della pressione della guida? 
"Ogni corsa avrebbe potuto essere l’ultima. Oggi è diverso. Ogni volta che uscivamo indenni da una gara facevamo una festa per celebrare il fatto di essere ancora vivi. Erano tempi diversi. James era semplicemente più eccessivo, e il film lo mette in evidenza. Non abbiamo mai avuto rivalità per le donne. Con altri piloti andavo magari a bere una birra dopo la corsa e finiva lì, non era un’amicizia. Con James era diverso, lui era diverso".
C’erano aspetti positivi del pericolo che doveva affrontare come pilota, sapendo che aveva buone probabilità di morire?
"No. Correre in Formula 1 significa controllare la tua auto e testare i tuoi limiti. Per questo la gente corre: per sentire la velocità, la macchina e il controllo. Ai miei tempi, se ti spingevi troppo oltre, ti ammazzavi. Dovevi trovare il giusto equilibrio, come un funambolo, per rimanere in vita. Era la precisione, non il pericolo, che mi interessava. Io ero più tecnico degli altri. Non volevo andare più veloce; volevo capire la macchina in modo da sapere esattamente come farla andare più forte".
Quando ha concluso la sua carriera in Formula 1, dopo aver vinto un altro campionato nel 1984, ha fondato una compagnia aerea, la Lauda Air. Nel 1991, però, c’è stato un terribile incidente in Thailandia in cui hanno perso la vita tutti i 223 passeggeri. Quali effetti ha avuto quella tragedia su di lei? 
"La sciagura del Boeing 767 è stato l’altro terribile evento della mia vita… Ho capito che non è possibile controllare il futuro. Ma non sono preoccupato. Si può sempre imparare a superare le difficoltà".
Lei è rimasto un pilota appassionato e guida sempre personalmente il suo aereo. Cosa preferisce pilotare, auto o aerei?
"Le auto sono la mia professione, mentre uso gli aerei per mia comodità. Sono stato un pilota commerciale per molti anni, quindi se devo recarmi per esempio in Brasile ci vado con il mio aereo. Vado a vedere qualsiasi corsa con il mio jet Global 5000 da 12 posti, che può volare per 12 ore di fila. Non prendo mai i voli di linea".
Successivamente ha gestito un’altra compagnia aerea, la FlyNiki, che poi ha venduto. Sente la mancanza di un’attività nel settore? 
"No. L’ho venduta non appena ho iniziato a collaborare con la Mercedes (è il presidente del team, ndr). Air Berlin voleva comprare la mia compagnia: era il momento giusto, il prezzo era congruo, ho accettato".
I soldi sono stati una motivazione importante per lei? 
"Non ho mai lavorato per i soldi, così come non ho mai corso per guadagnare. Prima di tutto devi correre e poi, se vinci, arrivano anche i soldi. Questo è l’atteggiamento che ho avuto in tutta la mia vita. Ho sempre fatto quello che mi piaceva e, se lo facevo bene, arrivava anche il riscontro economico. Non sono attaccato al denaro, anche se non mi dispiace averlo".
Si è risposato diversi anni fa con Birgit Wetzinger (una ex hostess della FlyNiki). Come l’ha conosciuta? 
"L’ho incontrata a una festa e me ne sono innamorato. Mi ha colpito subito per via dei suoi stivali... portava stivali bassi, stile hippy, il contrario dei tacchi alti che avevano tutte le altre donne, ma non sapevo che lavorasse per la mia compagnia aerea, l’ho scoperto solo in seguito. Per farla breve, le ho chiesto di uscire e da lì è iniziato tutto. Ci siamo sposati e dopo otto mesi sono nati Max e Mia".
In "Rush" lei conosce la sua prima moglie Marlene dandole un passaggio mentre fa l’autostop. È accaduto veramente?
"In realtà l’ho incontrata a una festa e l’ho accompagnata da qualche parte, però lei non mi ha riconosciuto: pensava fossi un tennista. Nel film si vede anche che lei dà un passaggio ad alcuni autostoppisti e li spaventa a morte guidando a velocità pazzesca. Questa parte è vera (sorride)".
Ha mai la tentazione di sfrecciare per le strade austriache? 
"No, ma quando la polizia mi ferma perché guido un po’ troppo veloce esordisco così: 'Non posso farne a meno, ce l’ho nel sangue'. Gli agenti o ridono o me la fanno pagare (ride)".
Le piacerebbe che uno dei suoi gemelli diventasse un pilota? 
"Spero di no, ma è troppo presto per dirlo. Mia figlia, tuttavia, è una spericolata. È esattamente come me. Proprio in questo momento, qui a Vienna, è la prima volta che mi trovo da solo con i bambini, perché mia moglie è a New York. Subito dopo questa intervista corro a casa perché va via la baby-sitter e non vedo l’ora di stare con loro. È una bellissima esperienza. Birgit sosteneva che non ce l’avrei mai fatta, invece procede tutto bene".
Lei sembra sempre molto freddo, controllato e pragmatico. È così anche nella vita privata?
"Sono emotivo, ma non lo do a vedere. Cerco di proteggermi. Sono sempre sotto i riflettori, quindi dissimulo. Sono facile alle lacrime quando guardo film melensi: non so perché, ma mi viene da piangere".
È ancora in contatto con la famiglia di Hunt? 
"Solo con suo fratello".
Quali sono i suoi ricordi più belli di lui?
"Eravamo agli antipodi, ma entrambi volevamo vincere. È triste che non sia qui ora accanto a me. È stato sfortunato: non beveva e non si faceva più da quattro anni e ha avuto un attacco di cuore. È morto troppo presto e troppo giovane. Vorrei che potesse vedere il film. Sarebbe stato il momento più bello (gli occhi di Lauda si inumidiscono)".
C’è qualcosa che potrebbe indurla a risalire su un’auto da corsa e ricominciare a correre? 
"No. Ho provato qualsiasi tipo di macchina in ogni maniera possibile. Mi sono quasi ammazzato. Mi sono ritirato. Poi ho ricominciato. Ora non mi interessa più. Ho messo giudizio (fa un sorriso malizioso)".

STUPENDA INTERVISTA RIPRESA DA:

http://sport.panorama.it/formula-1/niki-lauda-james-hunt-rush-intervista

GRAZIE A:

MARTIN SOMPTER, PANORAMA.IT


20 ANNI DOPO LA MORTE DI AYRTON SENNA...INTERVISTA COMMUOVENTE PRIMA DELLA SUA FINE

Lotus

Ayrton Senna, il racconto della dottoressa: "Così mi morì in braccio"...

Sono le 18.40 del 1° maggio 1994, in mezzo a una selva di microfoni, telecamere e volti segnati dalle lacrime, dalla tensione, dalle preghiere, tocca alla dottoressa Maria Teresa Fiandri, Primario del reparto di Rianimazione e del 118 dell’Ospedale Maggiore di Bologna, annunciare al mondo in diretta tv che Ayrton Senna è morto dopo il terribile incidente di Imola. Venti anni dopo, quella stessa voce calma e risoluta ripercorre per Libero il giorno in cui “il ragazzo che parlava con gli occhi” li chiuse per sempre.
Dottoressa, dove era alle 14.17 di quella domenica?
«A casa, stavo guardando il Gp in tv con i miei figli, appassionati di F1. Non ero di guardia ma ero reperibile. Ho capito subito che l’incidente era molto grave, mi sono cambiata e sono saltata in macchina. Non ho neppure aspettato che mi chiamassero, il bip del cercapersone è suonato quando ero già per strada. Sono arrivata al Maggiore contemporaneamente all’elicottero».
Ventotto minuti dopo l’incidente. E lì prese in consegna Ayrton.
«Era in coma molto profondo, ma aveva battito cardiaco e prima di esaminare la Tac non si poteva sapere quante speranze reali ci fossero. Che era molto grave lo avevamo capito subito, il quadro era già apparso chiaro al dottor Gordini e ai medici che lo avevano soccorso al circuito».
Quel movimento della testa che per la gente a casa era un segno di speranza...
«Purtroppo era un segnale di estrema gravità. Quando poi abbiamo visto la Tac abbiamo capito che le lesioni erano enormi e inoperabili. Il cervello era così danneggiato... ».
A seguito delle indagini e del controverso processo, è stato appurato che nello schianto contro il muretto la sospensione destra della Williams si staccò, portando con sé la gomma che colpì Senna alla testa, mentre il braccetto penetrò nella visiera e trafisse il brasiliano nella regione del lobo frontale destro.
«Non so se sia stato il colpo diretto o il contraccolpo a causare più danni. Il braccetto aveva causato un taglio profondo, era la cosa che si notava subito; poi abbiamo visto le fratture craniche e da lì abbiamo deciso di fare l’elettroencefalogramma per capire se ci fosse o meno attività cerebrale».
Ma tutto quel sangue che si vede dalle immagini tv?
«Era causato dal taglio, era stata lesa l’arteria temporale. La grande quantità di sangue fu una cosa che colpì anche noi».
La telemetria ha dimostrato che nei due secondi fra la rottura del piantone dello sterzo e lo schianto Senna reagì, frenò e scalò le marce, passando da circa 310 km/h a 211. Se non ci fossero stati l’impatto con la gomma e il braccetto come sarebbe andata?
«Il resto del corpo era integro, non c’erano altre lesioni importanti, Ayrton ha avuto un’incredibile sfortuna. Bastava un palmo più a destra: non posso dire che non sarebbe successo nulla, ma certamente altri danni significativi sul corpo non ce n’erano».
Com’era Senna quando è arrivato al Maggiore?
«Era bello e sereno, mi ha fatto quell’impressione lì. Ovviamente il viso era un po’ gonfio per il trauma ma ricordo che c’era una persona accanto a me che anche lei esclamò: “Quanto è bello...”».
C’era qualcosa nel destino di Ayrton...
«Forse sì, anche le cose su di lui che ho letto dopo quel giorno mi hanno dato questa impressione: un destino alla fine infelice, come se lui nel profondo avesse sempre saputo che sarebbe morto giovane».
Nei due giorni precedenti ci furono altri drammi.
«Ma non ero di turno. È stato un weekend terribile, fra spettatori, meccanici, una serie di eventi da lasciare senza parole».
Come fa un medico nella sua posizione a contenere le emozioni?
«Ci vuole gran capacità di autocontrollo altrimenti è meglio non fare il medico. E poi aiuta l’esperienza, eravamo un’équipe molto organizzatae in quelle situazioni non si era mai soli».
Avevate percezione di vivere un momento storico?
«Sì, lì per lì almeno io ero un po’ sconfortata, anche un po’ spaventata, ma poi l’esperienza viene in soccorso».
Dopo gli inutili trattamenti che avete provato, è arrivato il momento dell’annuncio.
«Sì, ma non avevamo nessuna tabella di marcia per le comunicazioni ai media, come qualcuno ha riportato, così come non è vero che a Senna praticammo 18 trasfusioni. Io credo di aver dato notizie due o tre volte, una di sicuro quando abbiamo visto l’elettroencefalogramma che non dimostrava attività, cosa che oggi consentirebbe di dichiarare la morte, ma allora non potevamo farlo perché per la legge italiana la morte coincideva con l’arresto cardiaco: e finché non si è fermato il cuore, noi non potevamo constatare il decesso».
Da medico si è dovuta trasformare in personaggio mediatico.
«Mi sono esposta il meno possibile, perché non è proprio il mio temperamento».
Com’è annunciare la morte di qualcuno?
«Brutto, per quanto si cerchi di prepare i parenti e condividere il momento - con un minimo di filtro, altrimenti nessuno riuscirebbe a fare il nostro lavoro. Quelle volte in cui riusciamo a dare buone notizie però ci ripagano».
Cosa sente oggi quando vede Senna in tv o sui giornali?
«Una sensazione strana, affetto, come se ci fosse un legame. Però non vado mai a riguardare sue foto, perché il ricordo di quel giorno mi crea ancora molta emozione».


intervista di Tommaso Lorenzini da http://www.liberoquotidiano.it/news/sfoglio/11599274/Ayrton-Senna--il-racconto-della.html

sabato 12 aprile 2014

CHICCHE DI FOTOGRAFIA...


Otturatore, tempi ed esposizione

L'otturatore è solitamente composto da una tendina metallica sottilissima e delicatissima che alzandosi fa entrare la luce e richiudendosi fa finire il flusso di luce. In alcune reflex digitali e in alcune compatte, non è presente un otturatore, ma viene acceso/spento il sensore per simularne il funzionamento.
I tempi d'esposizione, o più brevemente il tempo, è l'altro parametro con cui possiamo dosare la luce, a parità di diaframma un tempo lento farà passare più luce rispetto ad un tempo più rapido.
Solitamente i tempi vengono indicati in frazioni di secondo, tempi tipici ( in secondi ) sono:
4 - 2 - 1 - 1/2 - 1/4 - 1/8 - 1/15 - 1/30 - 1/60 - 1/125 - 1/250 - 1/500 - 1/1000 - 1/2000 – 1/4000
Spesso i tempi utilizzati sono le frazioni di secondo, quindi frequentemente negli schermi e nei mirini si omette l' 1/ e si scrive il numero senza indicare la frazione.Raramente gli otturatori riescono a fornire tempi più brevi di 1/4000 di secondo, mentre tutte le reflex utilizzano la posa B o T che permette l'uso di tempi nell'ordine di secondi, minuti o anche ore, che tornano utili in alcuni generi fotografici come la fotografia notturna.

Tempo corretto.
Se dobbiamo fotografare un soggetto veloce, ci servirà un tempo rapido, per fermarlo (1/500).
Per un soggetto lento basta un tempo più lento (1/15).
Una buona regola di base per la scelta del tempo d'esposizione è:
Per fotografare a mano libera scegliere un tempo che sia almeno l'inverso della focale in uso.
Per esempio: se stiamo fotografando con un 300mm a mano libera dovremo usare almeno un tempo di 1/300, se invece usiamo un 28mm a mano libera dobbiamo usare un tempo di 1/30. 

Questa regola funziona con soggetti fermi o comunque piuttosto lenti, nel caso in cui il soggetto si muova velocemente o diagonalmente le cose si complicano, e specie per i primi tempi è meglio usare sempre il tempo più veloce che possiamo permetterci.
Se usiamo una digitale con sensore a formato ridotto come un APS-C il tempo non varia. 

Se ci serve un tempo troppo lento, come evitiamo di fare una foto mossa?
Se non possiamo aprire il diaframma, e non possiamo aumentare gli ISO per far diminuire il tempo possiamo comunque ricorrere a varie alternative, la classica è l'utilizzo di un cavalletto o di un monopiede oppure ci si può appoggiare ad un muretto, ad un albero o qualunque altro sostegno che ci renda più stabili. 


ISO 
L'ultimo importante parametro su cui possiamo agire è la sensibilità del sensore/pellicola.
L'International Standard Organization più brevemente ISO, è l'unità di misura della sensibilità della pellicola, ad ogni raddoppio del valore corrisponde un raddoppio della sensibilità alla luce e viceversa ad ogni dimezzamento del valore si ha un dimezzamento di sensibilità. 

Maggiore è il numero di ISO meno luce serve per fotografare, ma il rumore ( la grana della foto ) diventa più evidente, viceversa, minore è la sensibilità ( valori ISO più piccoli ) più luce serve per fare la fotografia, però la qualità è maggiore.
Regola pratica per i primi tempi potrebbe essere, usa sempre il valore ISO minimo per quello che vuoi fotografare, così otterrai sempre la massima qualità della foto. 
L'impostazione degli ISO si potrebbe lasciare in automatico, però non è detto che la fotocamera imposti il valore che serve a noi. Se stiamo fotografando a mano libera sarà necessario usare un tempo sufficiente per non fare la foto mossa, spesso la fotocamera ci viene in aiuto aprendo il diaframma, ma potremmo non volere un diaframma più aperto, perché vogliamo sfruttare la profondità di campo! tra i vari parametri su cui possiamo agire c'è appunto la sensibilità ISO, ogni raddoppio del valore corrisponde ad 1 EV in più, viceversa ad ogni dimezzamento del valore corrisponde 1 EV in meno.
con un 50mm abbiamo un tempo di 1/30 il diaframma è già all'apertura massima di f2,8 e la sensibilità è impostata su 200ISO, in queste condizioni per la nota regola del tempo di sicurezza avremmo una foto mossa, accettando una minima perdita di qualità, passiamo da 200ISO a 400ISO ( che è il valore successivo ) ed il tempo passa da 1/30 ad 1/60 ( abbiamo aggiunto 1 EV ), se invece abbiamo un cavalletto su cui montare la fotocamera potremmo voler usare una sensibilità minore per avere una maggiore qualità, per cui portiamo gli ISO da 200 a 100ISO ( il valore inferiore ) ed il tempo cala così da 1/30 ad 1/15 ( -1 EV ).
Quanti ISO deve avere la fotocamera? È importante che abbia una sensibilità minima di almeno 100 o 200 ISO ed una massima il più alta possibile, per poter fotografare senza flash nelle condizioni di luce più scarse, orientativamente una reflex parte dai 100 ed arriva almeno fino ai 1600ISO, alcuni recenti modelli anche a 26500ISO, naturalmente ai valori più elevati la qualità cala vistosamente, producendo spesso foto inutilizzabili.


Esposimetro
L'esposimetro è il dispositivo che misura la luce della scena e ci dice che coppia tempo/diaframma usare in base agli ISO impostati, ed è importante avere un idea del suo funzionamento per capire quando e come usarlo.
d occhio un foglio bianco riflette molto la luce mentre un foglio nero ne riflette poca, dato che ogni colore riflette diversamente la luce si è deciso di usare come riferimento un grigio neutro con riflettanza del 18%.
Se in una scena sono presenti troppi elementi chiari l'esposimetro fornirà una coppia tempo/diaframma tale da scurirli, viceversa se sono presenti troppi elementi scuri, tenderà a schiarirli, e qui sta il nocciolo della faccenda, se inquadro un abito bianco, l'esposimetro farà il possibile per farmelo venire fuori grigio, viceversa se inquadro un abito nero, l'esposimetro mi indicherà come schiarirlo, ignorando che l'abito bianco deve restare bianco e l'abito nero deve restare nero.
In casi estremi come questo conviene puntare la fotocamera su un soggetto di tinta più neutra posto vicino al soggetto che vogliamo fotografare, leggere l'esposizione su quello ed usare quei dati per il nostro soggetto, oppure compensare manualmente l'esposizione, ad esempio diminuendo il tempo d'esposizione nel caso di un soggetto chiaro o aumentandolo per un soggetto scuro. 

Gli esposimetri incorporati nelle reflex per misurare la luce si servono solitamente di 5 metodi abbastanza standard, ma solo nei modelli più costosi si riescono a trovare tutti assieme:

1)Media a prevalenza centrale: come dice il nome la luce viene misurata in tutta la scena inquadrata ma si da più peso alla parte centrale, in cui si presuppone ci sia il soggetto, per anni è stata la modalità d'esposizione più diffusa, ed ancora oggi è apprezzata, basta ricordarsi di mettere il soggetto al centro,specie nei ritratti e/o primi piani.
2)Multizona o valutativa: la scena viene divisa in zone,la luce viene misurata e mediata secondo delle scene standard memorizzate nella fotocamera, è una modalità di misurazione che si rivela vincente nella quasi totalità dei casi. A seconda delle case produttrici prende un nome diverso.
3)Spot: la misurazione avviene in una piccolissima fetta dell'immagine indicativamente 3°, a causa di questa sua particolarità risulta difficile calcolare l'esposizione per l'intera scena, perché l'esposimetro fornisce la coppia tempo/diaframma solo per quella piccolissima porzione inquadrata ignorando il resto,può toglierci d'impaccio nelle situazioni più complesse, ma richiede una certa dimestichezza nel uso.
4)Semispot: e simile alla spot, ma l'angolo inquadrato è più ampio indicativamente 9°, risulta più gestibile della predente, ma comunque complessa per chi è alle prime armi.
5)Multispot: invece di lasciare decidere al sistema multizona quali sono le parti importanti della scena, siamo noi a sceglierle inquadrando successivamente in modalità spot tutte le parti che ci interessano ( di solito si arriva fino a 9 letture spot ), sarà poi la fotocamera a fare la media per trovare l'esposizione corretta. 

Modalità d'esposizione: 


1)Manuale: siamo noi a scegliere tempo e diaframma, è la modalità che lascia più controllo al fotografo, la fotocamera ci avverte quando l'esposizione è corretta o di quanto stiamo sbagliando, solitamente con una barra colorata.
2)Priorità dei tempi: noi scegliamo il tempo e la fotocamera imposta il diaframma, utile quando il soggetto è veloce o utilizziamo un teleobiettivo o il flash e non vogliamo andare sotto il tempo di sicurezza.
3)Priorità dei diaframmi: noi scegliamo il diaframma e la fotocamera imposta il tempo,permette di giocare con la PDC senza preoccuparsi del tempo.
4)Programmi vari: la fotocamera imposta tempo e diaframma ed eventualmente anche il flash in modo del tutto automatico seguendo dei canoni standard per il tipo di programma scelto. Solitamente imposta un tempo sufficientemente veloce per non muovere la foto a mano libera, eventualmente attivando il flash.

Programmi dedicati...

a)Automatico o Program: in base ad una serie di informazioni memorizzate nella fotocamera sceglie tempo/diaframma tentando di riconoscere la scena, e si adatta di conseguenza, per cui il suo funzionamento ricalca spesso i programmi dedicati.
b)Ritratto: imposta sempre il diaframma più aperto, e predilige la messa a fuoco del soggetto più vicino.
c)Sport: imposta sempre il tempo più veloce, spesso si accoppia con la funzione di inseguimento del sistema autofocus.
d)Profondità di campo: l'autofocus rileva il soggetto più vicino e quello più lontano impostando il diaframma più chiuso in modo che siano entrambi a fuoco.
e)Paesaggi: imposta diaframmi chiusi e predilige la messa a fuoco del soggetto più lontano.
f)Macro: imposta diaframmi chiusi e mette a fuoco il soggetto più vicino.
g)Ritratto notturno: come il ritratto però la fotocamera imposta un tempo lento per esporre correttamente lo sfondo ed usa un colpo di flash per esporre il soggetto in primo piano, questa tecnica è detta slow-sync.

Messa a fuoco manuale ed autofocus
Le moderne reflex hanno solitamente 4 modalità di messa a fuoco, i cui nomi cambiano da ditta a ditta, ma la cui sostanza rimane uguale, vediamoli:

1)AF one shot: messa a fuoco del soggetto solo premendo il pulsante di scatto, ideale per soggetti fermi, come persone in posa o cose.
2)AF predittivo: la fotocamera sa di avere a che fare con un soggetto in movimento e corregge la messa a fuoco stimando lo spostamento del soggetto nel breve intervallo di tempo dello scatto, è l'ideale per soggetti in movimento.
3)AF intelligente: la fotocamera commuta tra i due metodi precedenti a seconda del soggetto. 
4)Manuale: il fotografo deve disattivare l'autofocus e ruotare la ghiera dell'obiettivo fino a che l'immagine non appare nitida. Nelle vecchie reflex che avevano solo la messa a fuoco manuale, nel mirino si vedeva una corona di quadratini ed al centro un immagine spezzata, per avere la messa a fuoco bastava ruotare la ghiera dell'obiettivo finché l'immagine appariva nitida sulla corona o equivalentemente l'immagine spezzata diventava intera.
Da notare che la fotocamera mette a fuoco il soggetto solo se questo si trova in corrispondenza di uno dei sensori dell'autofocus, solitamente indicati con un punto che s'illumina quando aggancia un soggetto. Le moderne reflex hanno dai 5 ai 45 punti di messa a fuoco, per individuare da sole il soggetto nella scena, ma è sempre possibile scegliere il punto di messa a fuoco, nel caso in cui l'autofocus voglia mettere a fuoco il soggetto sbagliato...

(Marco Mambrelli alias MambASoft)

mercoledì 26 marzo 2014

OCULUS RIFT

Sono ingombranti, macchinosi, scomodi. Mettono pure un po’ d’ansia, gli Oculus Rift, a chi li prova per la prima volta: tagliano completamente i contatti col mondo esterno, immergono in una realtà nuova e inaspettata. E mentre si aspetta in coda per i dieci minuti di test, non è che ci facciano una gran figura quelli che li stanno provando: a girare la testa, muoverla vero l’alto o il basso come se cercassero di avvicinarsi a qualcosa che solo loro vedono. Nell’ultima versione, gli Oculus Rift montano uno schermo da 5 pollici in Full Hd, possono registrare il movimento della testa su sei assi, hanno una latenza di soli 30 millisecondi. Dati che si traducono così: immagini ben definite, grande accuratezza nel controllo dei movimenti, risultato più verosimile. Sullo schermo vengono visualizzate due immagini una accanto all’altra, una per ogni occhio, Delle lenti fanno sì che ad ogni occhio arrivi solo una delle due, e la leggera differenza che esiste tra loro serve a dare l’impressione della profondità. Gli Oculus Rift al momento funzionano con Mac, Pc e Linux, oltre che con Android. Non sono per ora compatibili con le normali console di gioco, e con la presentazione dei visori a realtà virtuale di Sony (Project Morpheus), è praticamente certo che non lo saranno con la PlayStation. Infilata la maschera, che è grande all’incirca come una da sub, messe le cuffie sulle orecchie, il viaggio finalmente inizia. Ci si muove con un normale gamepad, ma tutto il resto non ha niente di normale. In una simulazione di battaglie spaziali, vista all’E3, la più grande fiera mondiale dei videogiochi, i missili nemici arrivano da dietro, sfiorano le spalle, si schiantano contro un’astronave che non è solo lontana in prospettiva, ma persa nel vuoto cosmico. Il primo contatto con la realtà virtuale è un’esperienza emozionante, forse solo appena meno di un vero viaggio tra stelle e pianeti. Al Ces di Las Vegas era in mostra un nuovo prototipo, Crystal Cove, ancora più preciso e realistico. Stavolta il gioco consisteva in una specie di labirinto circondato da fiamme. Bastava spostarsi di poco perché si aprissero sotto i piedi voragini infocate. Ci si poteva perfino sporgere, per vedere più in basso la lava gorgogliante. Perché se il gamepad controlla la direzione, è poi muovendo la testa che il mondo intorno cambia, grazie a una serie di sensori integrati nel casco e a una videocamera esterna che funziona un po’ come la Kinect della Xbox. E anche qui l’esperienza era straniante: sembrava di essere diventati piccolissimi e caduti dentro una di quelle macchine goffe e misteriose che popolavano le sale giochi qualche decennio fa. Gli spezzoni di videogame visti finora erano poco più che pretesti per testare in funzionamento degli Oculus Rift: che intanto, come suggerisce anche Zuckerberg, si prestano a mille altri usi, dall’esplorazione virtuale di mondi lontanissimi fino alla comunicazione interpersonale. Così non stupisce se la reazione degli sviluppatori di videogiochi sia stata entusiastica e l’interesse del pubblico sempre crescente. Gli Oculus Rift sono ancora allo stadio di prototipo, e molte cose possono cambiare prima che arrivino sul mercato: in due anni di sperimentazione, i miglioramenti sono già stati numerosi, specie per la qualità dell’immagine, il peso e le dimensioni. Il nuovo modello per sviluppatori arriverà entro l’estate a 350 dollari, molto meno dei due miliardi pagati da Zuckerberg. Probabilmente saranno in commercio in versione definitiva nel 2015, ma ci vorrà parecchio perché diventino di uso comune. Sempre che Mark Zuckerberg miri davvero a questo. Potrebbe, ad esempio, voler rivoluzionare l’industria del cinema: per gli spettatori sarebbe possibile curiosare tra le scene, o vedere un film dalla prospettiva dei vari attori. O potrebbe usarli per chattare, magari attraverso Whatsapp, il servizio che ha acquistato il mese scorso per 19 miliardi di dollari. Oppure, nell'ambito del progetto Internet.org, il Ceo di Facebook potrebbe usare i visori a realtà virtuale per portare assistenza sanitaria specializzata dove i medici sono pochi e difficilmente raggiungibili. O ancora, adottarli per nuove forme di didattica interattiva, per teleconferenze, per tutti quei casi in cui sia impossibile un contatto diretto tra persone. A Zuckerberg non mancano né i fondi né le idee.

ARTICOLO PRESO DA "LA STAMPA", AUTORE "BRUNO RUFFILLI"

http://www.lastampa.it/2014/03/26/tecnologia/cosa-sono-e-come-funzionano-gli-oculus-rift-faL2Vl2o9palBGIwppqm7M/pagina.html 

 https://www.youtube.com/watch?v=fORsmplcqlc 
ARRIVEREMO A QUESTO...FILM "IL TAGLIAERBE"...(YOUTUBE)

martedì 4 marzo 2014

Nokia e Android

Durante il Mobile World Congress di Barcellona, Nokia ha ufficializzato i suoi primi terminali equipaggiati con Android: una mossa largamente anticipata dai rumor ma che, nonostante ciò, ha destato più di qualche perplessità. Com’è possibile che Microsoft a pochi mesi dall’annuncio relativo all’acquisizione del gruppo finlandese abbia concesso a quest’ultimo di “tradire” Windows Phone? Nokia, tramite Stephen Elop, ha cercato di chiarire la situazione spiegando che aveva bisogno di nuovi telefoni per coprire il segmento di mercato che si trova fra i Lumia e i suoi telefoni economici, gli Asha. Una via di mezzo (tendente più al low che al mid-range) che attualmente Windows Phone non sembra voler prendere in considerazione. "Nella fascia di prezzo, bassa, in cui Windows Phone non esiste o l’esperienza Lumia non può essere trasportata, avevamo bisogno di qualcosa che non prevedesse l’obbligo di creare un altro ecosistema. Con il progetto open source di Android abbiamo ottenuto anche il beneficio di avere tante app compatibili." Non è tardata ad arrivare nemmeno la reazione di Microsoft, che a dispetto delle previsioni è stata pacata e per certi versi favorevole al “passaggio” di Nokia ad Android. Queste le parole del vice presidente della divisione Communications, Frank X. Shaw: "Siamo lieti di vedere servizi Microsoft, come Skype, OneDrive e Outlook.com su questi dispositivi. Ciò offre l’opportunità di portare milioni di persone, in particolare nei mercati in fase di sviluppo, verso la famiglia Microsoft." Il progetto del duo Nokia-Microsoft è quindi quello di “avvicinare” gli utenti con telefoni low-cost, farli affezionare ai servizi sopracitati e sperare che questi ultimi passino a Windows Phone. Però potrebber non trattarsi di un piano a lungo termine. Il colosso di Redmond ha infatti sottolineato che la decisione di produrre terminali Android è stata di Nokia, la quale fino al termine del processo di acquisizione (atteso per le prossime settimane) agirà in completa indipendenza. Dopo, sotto la direzione di Microsoft, le cose cambieranno. Il destino del robottino verde in salsa finlandese è ancora tutto da scrivere. ARTICOLO DI ANDREA GUIDA "GEEKISSIMO"

martedì 28 gennaio 2014

Space Oddity di David Bowie cantato dal Col. Chris Hadfield

Chris Hadfield, comandante della missione Expedition 35 sulla Stazione Spaziale Internazionale, a maggio 2013 ha cantato dallo spazio una cover di David Bowie, il famoso pezzo Space Oddity pubblicato nel 1969 in tempo per l'impresa dell'Apollo 11. Hadfield, appassionato di musica,è stato già protagonista di una jam session stellare in diretta dallo spazio,ha confezionato una cover ben cantata corredata di un video in cui la chitarra fluttua complice l'assenza di gravità, e l'ha postato sui suoi numerosi profili 'social', da Facebook a Twitter dove ha numerosi fan. "In tributo al genio di David Bowie, ecco Space Oddity, registrata sulla stazione spaziale. Un'ultima vista del mondo, scrive Hadfield nel post. Voce e chitarra sono state registrate a bordo della Stazione spaziale, il piano e gli altri strumenti sono stati aggiunti da un gruppo di collaboratori sulla Terra. Nel video si vedono anche delle bellissime immagini del nostro Pianeta prese dallo spazio. Il comandante ha leggermente modificato il testo della canzone tarandolo sulla sua situazione personale: invece di 'Major Tom' il personaggio inventato da Bowie, Hadfield cita la navetta Soyuz. Il brano dura circa cinque minuti e ha il merito, oltre che di puntare l'attenzione sull'originalità e l'ironia di Hadfield (nel video il suo atterraggio è immaginato con paracadute e finisce con un'esplosione) anche di riaccendere l'entusiasmo verso le esplorazioni spaziali. Hadlfield,un veterano delle missioni nello spazio,insieme agli astronauti Tom Marshburn e Roman Romanenko, lascerà la stazione spaziale per atterrare in Kazakhstan con la Soyuz.
FONTE ANSA.IT